Queste sono le parole di Fabrizio De Andrè ne “La città vecchia“, una canzone del 1965.
In quell’anno e con quelle parole, De Andrè faceva riferimento agli emarginati dalla società, considerandoli, nei versi finali, “vittime di questo mondo“. Dal 1965 ad oggi qualcosa è cambiato. La tecnologia ha fatto enormi passi avanti. Le abitudini e la cultura stessa si sono modificate.
Un’epoca di progresso, quindi.
Eppure, nonostante tutto, capita ancora, purtroppo frequentemente, di imbattersi in ragazzini che giudichiamo maleducati e irrispettosi. Anche una semplice passeggiata in centro città, infatti, può aprire gli occhi ad una realtà che, forse, tendiamo ad ignorare. Così, quando un undicenne ci taglia la strada mandandoci a quel paese, ci rendiamo conto che qualcosa non va. La maleducazione è vecchia forse quanto l’uomo, ma in un’epoca di progresso scientifico, culturale e tecnologico ci risulta strana.
Diventare genitori pone davanti a responsabilità e doveri. Mettere al mondo un bambino non significa solamente che dovrai crescere TUO figlio. Significa anche dare vita ad un cittadino del mondo. Lo stesso bambino, a distanza di trent’anni, potrebbe pilotare aerei, salvare vite, insegnare o fare qualsiasi altro lavoro desideri; oppure, se trascurato, diventare una di quelle che De Andrè definiva “vittime di questo mondo“. Sì, il percorso intrapreso dai figli, di certo, non dipende solo dai genitori e dall’educazione ricevuta. Le scienze sociali hanno condotto innumerevoli studi in merito e sarebbe decisamente riduttivo colpevolizzare solamente l’ambiente famigliare. Occorre tenere a mente, però, che se questa società proprio non ci piace, se le persone, la politica e il lavoro fanno parte di ciò che ormai ripudiamo, forse, un primo passo verso il miglioramento è quello di non crescere “vittime di questo mondo”, ma qualcuno in grado di poter far nascere i fiori dal letame (cit. “Via del campo” – 1967).